mercoledì 27 ottobre 2010

L'altra Italia c'è già. E ha la camicia rossa

DANILO CHIRICO
TEANO (CE) - L’altra Italia c’è già. E oggi a Teano indossa la camicia rossa di Garibaldi. Soprattutto dimostra con grande semplicità e la giusta ambizione che vuole diventare l’Italia, per così dire, ufficiale. Perché già oggi opera concretamente sui territori, stravolge i dogmi della politica, concepisce l’amministrazione come strumento per valorizzare la vita delle persone, difendere il territorio, promuovere occasioni di lavoro buono.
«Stiamo assistendo a un piccolo miracolo», esulta Tonino Perna, il docente all’Università di Messina presidente del comitato promotore di un meeting che per quattro giorni mette a confronto amministratori, esponenti di associazioni e movimenti, intellettuali, cittadini. Per ricordare lo storico incontro tra Garibaldi e re Vittorio Emanuele II nel 150esimo anniversario e per provare a costruire una Italia unita su nuovi paradigmi politici ed economici, attorno a una nuova idea di democrazia.
Nuovi paradigmi contenuti in un decalogo che dice a chiare lettere che non è un reato accogliere i profughi e i migranti, che le energie rinnovabili sono una risorsa, che cultura, ambiente e territorio sono beni indisponibili, che le diversità locali sono il futuro del Paese, che le opere pubbliche non devono essere grandi ma semplicemente utili, che i pilastri su cui provare a costruire il Paese del ventunesimo secolo non possono che essere la solidarietà, la pace, la pari dignità tra uomo e donna, la scuola e la ricerca pubblica, la memoria delle migliori storie passate, l’antimafie. Belle parole e grandi ideali, certo. Ma la forza dell’appuntamento di Teano sta nella capacità di dimostrare che assieme allo studio, all’approfondimento, alle suggestioni intellettuali, ci sono – e funzionano – realtà che già applicano questi principi. Lo dimostra l’esperienza con i migranti dei comuni calabresi di Riace e Caulonia (con i sindaci Mimmo Lucano e Ilario Ammendolia), il racconto sull’acqua bene comune di Anna Maria Bigon che è a capo del comune di Povegliano Veronese, le testimonianze concrete dei sindaci Mario Cicero (Castelbuono, in Sicilia), Sabina Sergio Gori (Quarrata, in Toscana), Eugenio Melandri (Genzano, nel Lazio), Claudio Bertolat (Torre Pellice, in Piemonte), Luca Fioretti (Monsano), Rossella Blumetti (assessore del comune di Corsico, in Lombardia) che operano nel mondo dell’altra economia, dell’altro mercato, delle buone pratiche, della cooperazione decentrata. Lo dimostra la battaglia per “zero consumo del territorio” del primo cittadino di Lugagnano (in Lombardia) Domenico Finignana che ha elaborato un piano regolatore dove non c’è spazio per un solo metro quadro di nuovo cemento.
Certo, non è tutto oro quello che luccica. Basti pensare alla incredibile vicenda di Enzo Cenname primo cittadino di Camigliano, in provincia di Caserta, sollevato dall’incarico per “troppa” raccolta differenziata. Paradossale se si pensa che siamo a pochi chilometri da Terzigno. O basti pensare al racconto del sindaco di San Giorgio Morgeto (in provincia di Reggio Calabria) Nicola Gargano che, nella sua qualità di rappresentante dell’associazione degli enti locali contro le mafie Avviso pubblico chiede all’assemblea di Teano di assumere come primo punto del nuovo Patto per l’Italia la lotta alla criminalità organizzata. «Se non affrontiamo questo tema – tuona – raggiungere tutti gli altri risultati diventa impossibile». Inserire questa priorità nel decalogo «potrebbe somigliare a un’ammissione di una sconfitta, ma fare finta che il problema non esiste non aiuta a risolverlo. Anzi: ammettiamo la sconfitta e rimbocchiamoci le maniche. Combattiamo una battaglia per la giustizia e per non fare sparire i nostri piccoli comuni».
Tutto questo, molto altro, sta dentro il Patto (ancora al centro di un lavoro straordinario di discussione, limature, aggiunte, correzioni) che viene letto all’assemblea con il meridionale Mimmo Rizzuti, coordinatore della Sem (Sinistra euromediterranea) e la settentrionale Chiara Sasso, rappresentante della Recosol (Rete dei comuni solidali) a fare da cerimonieri davanti a un pubblico che si colora sempre di più di rosso: in tantissimi indossano la camicia garibaldina, quasi a voler rinnovare anche simbolicamente l’unità d’Italia di Teano. Un’unità che non sia più un’annessione del Sud al regno, ma un patto sincero e solidale tra pari che si contaminano e si mettono in discussione. Un percorso difficile. Ci prova, «seguendo il filo della mitezza», lo storico Paul Ginsborg a lavoro con altri studiosi lungo la strada che congiunge la “verità” storica come elemento necessario per conquistare la “riconciliazione”. Magari un punto di vista inglese può servire a rendere l’analisi può serena e quindi giusta. Unica avvertenza: mentre apre i lavori anche lui, divertito, indossa la camicia rossa. Accostata all’accento british fa un certo effetto.

Pubblicato su Il quotidiano della Calabria il 25 ottobre 2010

Sono i mondiali? No è Teano

Sono stato a Teano per la manifestazione che punta a ricostruire un patto nuovo per l'Italia a 150 anni dall'incontro tra Garibaldi e il re. Ecco il resoconto della prima giornata scritto per il Quotidiano della Calabria.


DANILO CHIRICO
TEANO (CE) - Le bandiere italiane sono a centinaia, stanno ovunque. Attaccate ai balconi delle case, appese fuori dai negozi, esposte dentro i bar, abbarbicate sui lampioni dell’illuminazione pubblica. Qualcuno ironizza e dice che sembra di stare allo stadio per la finale dei mondiali di calcio. È invece il paesaggio – forse anche un po’ retorico – di una città sinceramente in festa. Dovunque a Teano c’è il segno della storia, il segno dell’incontro tra Giuseppe Garibaldi e il re Vittorio Emanuele II che segnò l’annessione del Mezzogiorno all’Italia.
Guai però a pensare che – a 150 anni dal proverbiale «Obbedisco» di Garibaldi (l’anniversario è il 26 ottobre) – si stia facendo una semplice rievocazione di una pagina, sia pure importante, della storia d’Italia. In questo piccolo centro del Casertano sono arrivati da tutta Italia per provare ad avviare un percorso, complicato, che dovrà servire a ripensare, e ricostruire, l’unità di un Paese in crisi e ripiegato su se stesso, vittima della sua classe dirigente fragile e delegittimata, colpito al cuore dai leghismi e dall’assenza di memoria.
Dentro un bell’auditorium ricavato in una chiesa sconsacrata, c’è Tonino Perna, il sociologo dell’università di Messina che guida il comitato promotore. È soddisfatto, si vede anche dal fazzoletto rosso garibaldino indossato a mo’ di cravatta. «Teano si dimostra un paese accogliente – commenta – contento di essere risorto dalla storia fiero di essere il luogo in cui inizia un cammino che porterà a un’Italia diversa da quella di oggi che non funziona più dal punto di vista politico ed economico». Un percorso fatto di idee originali e buone pratiche contenute in un decalogo che è alla base del “Patto per una nuova Italia” che sarà siglato alla fine della manifestazione. Di queste suggestioni, esperienze, innovazioni - del futuro dell’Italia - sono chiamati a discutere centinaia di sindaci, amministratori, esponenti del mondo del terzo settore e dell’associazionismo, cittadini. Un lavoro importante, interessante. Tra dibattiti e workshop, stand e presentazioni di libri, spettacoli teatrali e performance musicali, si alternano personaggi come lo storico Paul Ginsborg e il padre comboniano Alex Zanotelli, il giornalista Riccardo Iacona e don Luigi Ciotti, il regista Mario Martone e il comico Paolo Hendel. Moltissimi altri. È atteso – martedì – anche Gigi Proietti che sarà protagonista di una rievocazione dell’incontro tra Garibaldi e il re con il docente di Ingegneria della Sapienza Enzo Scandurra.
«L’Unità d’Italia – spiega lo storico Piero Bevilacqua, che coordina il gruppo di studiosi impegnati a Teano – è stata conveniente per tutti». Provando a ragionare «fuori dall’economicismo» sterile che alimenta il dibattito nord-sud nei salotti televisivi, il professore della Sapienza ragiona ad alta voce: «L’Italia, protagonista del mondo mediterraneo, all’avvento degli stati nazionali è stata messa da parte – sottolinea – solo l’unità le ha restituito un ruolo in Europa». Un discorso che vale per tutti, per i braccianti del sud e per i ricchi industriali del nord: da qui deve nascere il futuro unitario dell’Italia. «Lo Stato nazionale – osserva – è il livello minimo perché noi navighiamo nel mare dell’economia globale. Il problema semmai – aggiunge – è tenere in equilibrio le autonomia e le libertà locali con la dimensione nazionale e mondiale». La soluzione non va certo rintracciata nelle macroregioni («vere sciocchezze», sentenzia). La chiave sta tutta «nel controllo democratico sul ceto politico, sta nella reale partecipazione dei cittadini alle scelte perché oggi tutte le decisioni vengono adottate sulla testa e alle spalle dei cittadini, come dimostra quello che accade a Terzigno». Gli fa eco Perna: «Esiste una scollatura grandissima tra cittadini e politica», dice sottolineando come sia irrisolto il nodo che segna la distanza tra democrazia partecipativa e rappresentativa. Aggiunge: «Le grandi riforme sono state fatte – insiste – quando il potere aveva paura delle masse sociali organizzate. Oggi nessuno ha più paura del popolo che si ribella», ammette. Poi rilancia: «Si sbagliano». Per due ragioni: la prima è che «la misura è ormai colma», dice guardando all’Italia di oggi e pensando forse al fatto che a Teano negli stand ci sono in distribuzione mille camicie rosse. La seconda è che le esperienze più innovative (dai gas alla finanzia etica, fino alla battaglia sull’acqua pubblica) «sono già nate e stanno crescendo» velocemente. A Teano ci sono molti esempi importanti che si confrontano. Altre ce ne saranno. Nonostante la politica, in perenne ritardo.


Pubblicato su Il Quotidiano della Calabria il 24 ottobre 2010

domenica 17 ottobre 2010

Fazio intervista Pignatone









Fabio Fazio intervista il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone. Che parla del cono d'ombra dell'informazione sulla città dello Stretto, di una nuova stagione di pentitismo in Calabria, della colonizzazione della 'ndrangheta al nord.
Finalmente la 'ndrangheta trova una tribuna importante, finalmente tanta gente ha avuto la possibilità di capirci qualcosa

LiberaReggio racconta Stopndrangheta.it

Il bellissimo sito di informazione di Reggio Calabria, Libera Reggio, mi ha chiesto un'intervista per raccontare il progetto Stopndrangheta.it e il nostro modo di fare antimafia. Se vi interessa, leggete qui.

Le immagini dell'arresto di Lo Giudice

Pioggia di pentiti. Che sta succedendo?

Prima Roberto Moio, genero del boss Giovanni Tegano, poi il mammasantissima Nino Lo Giudice. E' una nuova stagione di pentimento? Forse. Sicuramente subito dopo l'arresto hanno iniziato a parlare, sicuramente sanno molte cose. Sicuramente Lo Giudice si è autoaccusato di reati per i quali con grande enfasi c'erano stati gli arresti di uomini considerati legati al clan Serraino. Che cosa sta succedendo?



Uno Mattina ospita "Dimenticati"


La trasmissione è andata in onda il 12 ottobre 2010

venerdì 8 ottobre 2010

"Dimenticati" sulle radio e in tv

"Dimenticati" è stato su Radio Vaticana, domani alle 13 sarà su Radio Sound nella trasmissione di Adriano Mollo, lunedì mattina alle 9 sarà su Ecoradio.
Ascoltate le storie dei "Dimenticati".

Mai più "Dimenticati" di 'ndrangheta

Il Quotidiano della Calabria ha pubblicato due pagine sul libro "Dimenticati". Questa la recensione di Franco Dionesalvi.

di Franco Dionesalvi

LIBRI sulla 'ndrangheta ce ne sono tanti, ed è probabile chemolti se ne pubblicheranno ancora. Si tratta di saggi scientifici, e anche di romanzi. E da decenni le pagine dei giornali locali sono zeppe di cronaca nera e giudiziaria, con ampio spazio dedicato a quella che è ormai considerata la più potente e la più ricca delle mafie nel mondo: numerosi lettori, del resto, sono avidi di queste notizie, c'è chi legge solo quelle, assorbito da quel loro fascino perverso. Questo libro, “Dimenticati”, però, affronta la stessa tematica da una prospettiva diversa. Ci racconta delle vittime. Ossia di quelli che, in molti casi, abbiamo incontrato soltanto come corpi massacrati, come maschere intrise di sangue. E di cui troppo spesso abbiamo dimenticato il nome senza neanche soffermarci a chiederci chi fossero e cosa facessero. Perché poi tutta l'attenzione, sui mass media, la conquistano “guardie e ladri”, inquirenti e boss, nella loro battaglia. E dunque cronache giudiziarie e ricostruzioni di ambienti criminali, di gerarchie e santuari all'interno della criminalità organizzata.

Danilo Chirico e Alessio Magro, invece, si soffermano a scoprire le vite che si celano dietro quei corpi straziati, riversi sull'asfalto, crivellati di proiettili, accartocciati nell'auto, o persino dissolti nel nulla. Le ricostruiscono. E ce le raccontano. È questa la forza del libro.
Perché se una vicenda esce dalla cronaca nera e diventa narrazione, viene condivisa, entra nella nostra vita. Si abbatte lo steccato che di solito ci divide, e ci protegge, da queste storie di ordinaria violenza: che di solito sono geograficamente a noi vicine,
magari ci sfiorano, ma la loro estraneità esistenziale ci consente di chiamarcene fuori. Non è la stessa cosa se invece quella storia ci viene raccontata, ci coinvolge, ci diviene familiare. Allora la riconosciamo, vi riconosciamo il nostro prossimo. E l'indignazione sale. Il libro poi rientra in un progetto più complessivo. Quello dell'archivio delle vittime della 'ndrangheta. Di tenere viva la memoria di queste persone. Infatti spesso le narrazioni si chiudono con la “presa di coscienza”: col momento pubblico, con i giovani che si riuniscono, la piazza che si solleva, il grido che sorge da tante persone contro questa violenza, contro queste prevaricazioni.
Un grido che risuona, anche in piazze che fino al giorno prima erano state dominate dall'omertà; un grido che vince la paura, e si fa corale. E gli autori propongono anche che le autorità facciano dei gesti simbolici: intestare dei luoghi,delle strade, a queste vittime della mafia; elevare dei monumenti che li ricordino, come si fa con i caduti delle guerre.
Ricordate “I cento passi”? Il film, che ricostruiva la vicenda di Giovanni Impastato, si chiudeva con un grande corteo di bandiere rosse, issate da migliaia di giovani, che scendevano in piazza a raccogliere idealmente la sfida, a prendere il testimone di quella lotta che ereditavano dal giovane ucciso e che dunque le pistole non erano riuscite a spegnere. È il momento più vibrante e più significativo del film: la mafia si sconfigge se non se ne ha più paura, se le idee si mostrano alla luce del sole, e vengono condivise. Ecco:un effetto simile può suscitare un libro come questo. In cui veniamo a conoscere le vittime della 'ndrangheta, vengono chiamate per nome. E ne condividiamo per un tratto gli amori, i gusti alimentari, le passioni; fino all'esito tragico. È un libro assai corposo, che parla di tante vicende anche assai diverse fra loro: omicidi passionali, omicidi politici, sequestri di persona, episodi stragisti. Arriva anche a trattare vicende che non c'entrano più di tanto, come l'uccisione di Roberta Lanzino. Ma non è nell'ansia di completezza che sta la sua forza, né nello sforzo di analisi che risulta, inevitabilmente, frammentario e provvisorio. È nelle immagini che ci lascia nel cuore, nelle esistenze che ricostruisce per noi. Come quella di Totò Speranza, che era un ragazzo che si vestiva da punk e voleva portare a Locri la musica alternativa che amava. Affronta una serie di vicissitudini, di contraddizioni che sono frequenti ad una certa età. Però lui le paga con la vita; una morte assurda.E ogni anno si riunisce il gruppo musicale che aveva fondato, gli “Invece”. E suonano per ricordarlo.

Pubblicato sul Quotidiano della Calabria
Martedì 5 ottobre 2010

E' uscito "Dimenticati"

La copertina del libro
E' uscito per Castelvecchi il libro di Alessio Magro e mio "Dimenticati": raccontiamo le storie delle vittime innocenti della 'ndrangheta, storie che abbiamo incontrato in questi anni e che pensavamo che fosse giusto ricordare e raccontare. Perché diventino patrimonio di tutti. E' stato un lavoro lungo, difficile, doloroso. Questo il comunicato stampa della casa editrice.


Un mugnaio con la passione per gli orologi e un testardo assessore comunale, il bassista di un gruppo reggae e un medico con il vezzo della scrittura, un dirigente del Partito comunista che insegna Lettere e un fotografo con un passato da calciatore, un commerciante di auto che non fa lavorare nessuno in nero e un funzionario di banca che chiede garanzie quando concede i prestiti, una professoressa delle scuole medie e uno studente nigeriano che fa il parcheggiatore abusivo… in un Paese normale, queste donne e questi uomini – magistrati, attivisti politici, carabinieri, comuni cittadini e addirittura bambini – rappresenterebbero solo un ordinario spaccato di società civile. Ma in Calabria, nell’estrema periferia italiana, anche i modi di vivere e di essere più diversi possono essere accomunati dallo stesso, inaccettabile, destino: quello di essere uccisi dall’odio e dalla vendetta della ’ndrangheta. Accade così, alle vittime della più segreta e potente organizzazione criminale del mondo, di morire due volte. Prima assassinati dai clan e poi dimenticati da uno Stato che non ha saputo difenderli e, troppo spesso, dai loro stessi concittadini: le persone che, attanagliate dalla paura, hanno attraversato e attraversano le loro stesse strade, piazze e città.

Dimenticati è un libro dedicato alla storia e alle storie delle vittime della ’ndrangheta: cittadini innocenti da sempre in attesa di verità e di giustizia. Vicende personali a cui la narrazione di Danilo Chirico e Alessio Magro rende finalmente un volto. Affinché il diritto-dovere della memoria torni a essere patrimonio di tutti. E perché il movimento antimafia calabrese, capace di straordinarie battaglie per l’affermazione dei diritti civili e sociali, non sia più soltanto un grido destinato a restare inascoltato.


In questo libro si troveranno le storie di tutti i morti per sequestro di persona, per delitto d'onore, le vittime tra i rappresentanti delle forze dell'ordine, i politici, i magistrati, i bambini e  molte altre vittime.


Un libro che non esisteva, e che per la prima volta, prova a restituire giustizia ai morti che spesso non ne hanno avuta né nelle aule di tribunale, né storicamente o nella memoria delle persone.

venerdì 1 ottobre 2010

Riempire gli spazi a Reggio Calabria

Saremo in piazza il 25 settembre a Reggio Calabria. Per nulla a cuor leggero, abbiamo deciso di esserci. Per molte ragioni. Innanzitutto perché non può essere casuale - accade con impressionante puntualità almeno dall'attentato a Saverio Zavettieri - la stretta corrispondenza che esiste tra bombe, intimidazioni e appuntamenti elettorali. Perché ci sembra stringente - al punto di soffocare - la connessione tra mafia e politica, tra apparati deviati e pezzi delle istituzioni. Perché non ci sembra sufficiente il tentativo di reagire della società civile. 

Non ci nascondiamo, però. Questa manifestazione non è la straordinaria marcia Reggio-Archi. Non può esserlo, non ci sono le condizioni (e su questo dovremmo tutti quanti aprire una riflessione senza sconti). E il fiume di adesioni che vediamo ogni giorno se per un verso incoraggia tanta gente perbene a scendere in piazza, per l'altro ci mette tutti di fronte a due difficoltà sostanziali. La prima: l'appello elaborato non entra davvero nel merito delle grandi questioni che attraversano la Calabria e il Sud. Non affronta i nodi centrali per il futuro della nostra comunità: il lavoro (e il lavoro nero), le grandi opere (a partire dal No al Ponte, per il quale torneremo in piazza il 2 ottobre a Messina, fino allo scandalo della Statale 106 o della Salerno-Reggio Calabria), la cura del territorio e l'abusivismo (quanto mai necessarie in Calabria, terra di alluvioni), i migranti (da Rosarno in giù, un buco nero per tutti), la vergogna della borghesia mafiosa, il racket (e le ipocrisie legate alle mazzette), la selezione della classe dirigente e della classe politica, la compattezza delle istituzioni e della magistratura, la carenza dei servizi sociali (e l'abitudine che i cittadini hanno fatto alla sottrazione quotidiana di diritti elementari), la prepotenza della politica che tutto fa e disfa senza avere un progetto. E si potrebbe andare avanti a lungo.

Poi c'è un altro problema, altrettanto grave. Tutti o quasi - troppi - hanno aderito alla manifestazione. Chi ci crede e chi no, chi vuole differenziarsi e chi vuole mescolarsi tra la folla, chi vuole approfittarne e chi sceglie di stare in piazza, chi pensa di essere il più bravo e chi pensa di essere il più furbo. Anche personaggi dai quali è meglio stare lontani saranno in piazza sabato 25. Speriamo di vedere sfilare migliaia di persone ma è bene precisare che noi non siamo per l'unità, non siamo per l'unanimità. Neanche nella lotta alla 'ndrangheta. Perché se la 'ndrangheta sta nel potere e nelle istituzioni, se sta nell'economia e occupa i posti cruciali della classe dirigente non possiamo stare tutti dalla stessa parte. Se lo facciamo commettiamo un errore. Imperdonabile. Non tutti i percorsi sono uguali, è bene saperlo se vogliamo davvero parlare di 'ndrangheta e Italia, se vogliamo rovesciare convinzioni e schemi precostituiti, sciogliere grumi di interessi perversi, se vogliamo denunciare pupi e pupari, se vogliamo conoscere e riconoscere, se vogliamo distinguere veri e falsi intellettuali, vittime e carnefici, padroni e padrini, bianco e nero, se vogliamo orientarci nella melassa del grigio. Se vogliamo davvero affrontare la grande questione del Potere con tutto quello che significa. 
E allora misuriamoci sui fatti, sulla politica, sulle scelte, sulle posizioni. Ci spieghino le forze politiche e gli amministratori - a partire da quelli regionali - come condizionano il consenso, come compilano (e compileranno) le liste elettorali, cosa pensano delle grandi questioni che riguardano la Calabria. E come commentano le inchieste della magistratura - ne aspettiamo ancora delle altre - che stanno svelando, poco a poco, compromissioni, legami, ricatti, infiltrazioni. Se esistono delle zone d'ombra, perché non prendono le distanze? Perché non pronunciano parole chiare? Perché non sono conseguenti negli atti? E lo stesso riguarda le forze sindacali (che non sono immuni da colpe), i rappresentanti delle categorie (perché siamo così indietro rispetto ad altre regioni?), i giornalisti e gli intellettuali (sono davvero liberi o rappresentano gli interessi di qualcuno?), le associazioni e i movimenti (perché in una situazione così drammatica c'è così poco conflitto?), tutti i cittadini (quanto siamo coinvolti nel sistema affaristico-politico-para-'ndranghetistico che governa il nostro territorio?).


daSud al corteo di Reggio Calabria
Se tutto questo è vero, perché scendere in piazza? Perché fare antimafia significa partecipare, metterci la faccia, rivendicare diritti. Senza alibi, senza intellettualismi buoni a tenere a bada la propria coscienza, senza imbarazzanti primogeniture di natura tardo-adolescenziale. Perché rivendichiamo il diritto di stare nel corteo senza indulgenze, senza equivoci, senza compromessi sui principi, senza rinunciare alle nostre parole d'ordine, senza avere paura di confonderci. Perché non vogliamo regalare le strade e le piazze di Reggio Calabria a chi tenta di occuparle ma non le merita. Perché in una città e in un Paese in cui sono sempre più stretti gli spazi per la partecipazione e la democrazia, bisogna creare occasioni di confronto, aprire varchi, offrire occasioni, mettere a disposizione - ci proviamo da cinque anni - percorsi di ricerca, di denuncia, di ricostruzione della memoria, di partecipazione, di creatività, di diritti e di democrazia. Perché chi ha voglia di sporcarsi le mani e ha voglia di dire dei "no" deve sapere di non essere solo. Perché dobbiamo dire le nostre cose a tanta più gente possibile e rendere l'antimafia popolare, farla uscire fuori dai circuiti tradizionali. Perché non siamo sufficienti. Nessuno lo è. Solo se teniamo insieme tutto questo abbiamo una possibilità di ripartire. E allora la manifestazione - che non è un punto di arrivo - potrà rappresentare una piccola occupazione di uno spazio. Altrimenti a riempire gli spazi ci penseranno gli altri, quelli che non ci piacciono. C'è sempre qualcuno che riempie gli spazi vuoti, anche questo paga la Calabria. Saremo in piazza il 25, lì abbiamo deciso di stare per festeggiare i cinque anni dell'associazione daSud. Per dire la Calabria, raccontarla. Rivendicarla. Reggio sta diventando come la Palermo degli anni 90. Non ce ne rendiamo neanche conto.


ECCO LE FOTO DA REPUBBLICA.IT